Racconti



Solo per il maestro

Finalmente, dopo secoli l’avrò indietro, la mia cara Deirdre…
La amo, deve essere mia questa volta. Sono stato sempre un gentiluomo. Era la moglie di un altro, prima, ma adesso no…
A lungo ho cercato quei meravigliosi capelli corvini e quegli occhi zaffiro. Ce ne sono molte come lei ma nessuna è la mia Deirdre. Non hanno lo stesso profumo, lo stesso gusto, lo stesso sapore.
“Oh, mi dispiace” disse chinandosi subito per aiutare la ragazza a raccogliere i libri.
“Perché non stai più attento? Ho fretta!” disse senza neanche guardarlo. Raccolse in fretta le sue cose e se ne andò, i capelli danzavano sulla sua schiena.
“Hei, scusa… ti sei scordata questo” la richiamò. Era troppo lontana.
È mia, la voglio.
***
“Scusa” sussurrò.
La biblioteca del centro commerciale Ilac era un buon posto per studiare, molto più silenziosa di quella universitaria, piena di compagni di corso rumorosi e ciarlieri.
La ragazza alzò lo sguardo dai suoi libri e infastidita guardò la persona che l’aveva interrotta, fissandone gli occhi.
È ancora perfetta, anche con quegli occhi arrabbiati.
“Chi sei?” chiese.
“Aidan” rispose con voce profonda.
“Ok, Aidan, sto studiando, devo finire questa tesina… ” rispose velocemente.
“Volevo solo darti questo” disse passandole una piccola agenda.
“Oh, grazie” e dopo un poco “Quindi eri tu quello che mi hai buttato per terra l’altro giorno!”. Prese l’agenda e la esaminò per controllare che tutto fosse a posto.
“Mi dispiace… ti ho chiamato ma sei scappata”.
“Ero in ritardo per la mia le… aspetta un minuto” ridusse gli occhi a due fessure blu “Mi stai seguendo?”
“No! O meglio, sì. Dovevo farlo se volevo ridartela!” sorrise e cominciò a camminare lentamente verso l’uscita.
“Hei, Aidan” lo richiamò. Lui si girò per incontrare il suo viso sorridente “Grazie” arrossì.
La voglio, è mia.
Tutto verrà, devo solo aspettare.
***

“Dee, non pensi di aver bevuto troppo per questa sera?
“No, non ti preoccupare! Sto bene” Dee disse e mantenendo un precario equilibrio sui tacchi alti, camminava con la sua amica. Uscirono dal pub The Temple Bar, come sempre affollatissimo.
“Chiamiamo un taxi!”
“No, tu chiamalo se vuoi. Io vado a prendere un autobus a O’Connell Street” Dee disse. “Ciara, non ti preoccupare, ok? Ci vediamo domani!”
Dee se ne andò, l’aria frizzante della sera e la pioggerellina la aiutarono a riprendersi un po’ “Sarà un miracolo se domani non mi addormenterò al lavoro”. La tesina era finita, poteva rilassarsi adesso.
Camminò per una stradina, passò di fianco al ristorante spagnolo e si coprì il naso con la mano per l’odore che proveniva dall’interno. “Ok, forse ho bevuto troppo” disse tra sé.
Quando raggiunse il fiume notò che c’erano ancora un sacco di persone, nonostante fosse molto tardi. Si sentì meno in colpa e sorrise tra sé.
Attraversò il ponte Ha’penny e fu allora che notò una figura familiare.
“Ai…” stava per chiamare Aidan, il simpatico ragazzo che le aveva riportato l’agenda. Si bloccò non appena lo vide con un’altra ragazza. I due sembravano davvero intimi, camminando assieme, i corpi così vicini; lei sembrava quasi adagiarsi su di lui “Beh, penso che si divertiranno stanotte!” e sorridendo di nuovo se ne andò. Pensò che le sarebbe piaciuto incontrarlo di nuovo dato che era veramente affascinante, con i suoi capelli lunghi e scuri e i suoi occhi verde smeraldo. Le sue labbra erano sottili e soffici anche alla vista. Il suo viso, forse un po’ troppo pallido era comunque sexy. Sentì una stretta allo stomaco “Andiamo, devo ancora ringraziarlo per l’agenda!” pensò e ridacchiando andò per la sua strada.
***
Non sono forte a sufficienza ma la voglio lo stesso. Sarà mia questa volta.
Camminando nella notte raggiunse la biblioteca. Era sicuro di trovarla lì.
“Dee? Giusto?” chiese.
“Aidan, ciao…” disse imbarazzata. Tirò la sedia da sotto la scrivania e la liberò della borsa e della sciarpa “Vuoi sederti?” chiese.
Lui sorrise e si sedette vicino a lei.
“Che studi?”
“Non molto, per la verità. Penso di aver bevuto troppo ieri e oggi ho lavorato, così fisso per lo più le pagine vuote!” sorrise guardandolo negli occhi.
Dopo qualche minuto di sguardi ricambiati e silenzio imbarazzante lui chiese:
“Perché non usciamo a cena una volta?”
“Stasera? Sì, non ho nulla da fare” disse. Lo guardava negli occhi sperando che non capisse quanto lo desiderava.
“Sì, facciamo stasera allora” disse e guardando davanti a sé, abbassò lo sguardo.
Uscirono dall’Ilac, la biblioteca stava chiudendo, il centro commerciale era chiuso da un pezzo e le luci di Natale erano riflesse soltanto dalle decorazioni nelle vetrine dei negozi chiusi.
“Guarda, quegli stivali sono esattamente quelli che voglio” Dee disse tirandolo alla vetrina, indicò il paio che intendeva, ma poi sembrò fissare il vetro invece.
“Dee?” chiese.
“Sì? Ok! Sto bene!” disse e fissando i suoi lineamenti muoveva gli occhi velocemente per studiare il suo viso “Andiamo?”
Si recarono al Taste of Emilia, cibo italiano e un paio di bottiglie di vino rosso.
“Vedi? È il vino che ha sempre la meglio su di me!” Dee disse. Persa nei suoi pensieri, fissava il profilo di Aidan.
La voglio e basta, non m’interessa non essere ancora pronto. La voglio e basta.
“Facciamo una passeggiata?” Aidan chiese.
“Allora hai ancora la lingua! Sì, sarebbe l’ideale!”
Percorsero il ponte Ha’penny, la notte era fresca e con la scusa dal venticello freddo Dee gli si premette contro. Anche lui era freddo.
Attraversarono la strada, salirono i pochi gradini per entrare in una stradina stretta, diretti a Temple Bar. Sotto l’arco era più scuro del solito, Dee sembrava camminare a fatica e continuava a guardarsi intorno, in particolare il soffitto.
“Scusi…” disse una voce dietro di loro.
Dee si voltò e vide una vecchietta bassa e gobba. Aveva uno scialle di lana sulle spalle e un cappello giallo sistemato tra i capelli bianchi.
“Scusa, cara… posso chiederti un favore?” chiese.
Dee guardò Aidan, che continuò a camminare per un poco e poi si fermò ad aspettare poco distante, stava fissando le sue scarpe. Dee guardò negli occhietti acquosi della vecchia, e pensò di vederli gialli, ma poteva essere un effetto del vino.
“Sì?”
“Posso usare il tuo cellulare?”
“Scusi?”
“Posso usare il tuo cellulare?” la vecchia insistette “Ho bisogno di sapere come sta mia sorella… è in ospedale e ha subito un intervento”
“Beh…”
“Per favore!” disse di nuovo con la sua faccia rugosa.
“Va bene” Dee disse e le allungò il cellulare.
La vecchia con un piccolo salto le strappò dalle mani il cellulare e corse dentro la porta scarsamente illuminata, coprì con una mano il telefono e cominciò a parlare.
Dee le andò dietro per riprenderlo, guardò Aidan cercando aiuto ma si sorprese vedendolo parlare al telefono, stava piangendo.
Spiando all’interno, Dee riuscì a vedere un grande sacco dell’immondizia su un lato, da dove veniva un odore pungente.
“Scusi?” cercò di attirare l’attenzione della donna, ma lei le fece cenno di aspettare. Stava parlando in una lingua che Dee non afferrava, o forse, stava solo parlando velocemente.
“Hai messo i soldi sul mio conto?” furono le uniche parole che riuscì a cogliere “Non m’importa, fallo subito…sangue? A-ah….va bene, questa è l’ultima volta se non pagate…”
Dee era nervosa adesso e guardando alla sua destra notò una scala di pietra stretta, in cima alla quale si trovava una piccola porta di legno.
“Scusi…” Dee tentò una seconda volta. “Davvero, devo andare” e rivolgendosi dietro di lei urlò “Per favore, Aidan, mi serve aiuto qui”
Nessuno apparve. Udì un rumore dietro di lei e quando si voltò, vide una cosa orribile. Al posto della vecchia signora c’era una creatura diabolica, la sua pelle decomposta era di color marroncino.
Dee fece qualche passo indietro ma colpì il sacco, che cadde al suolo e dalla sua apertura fuoriuscì un braccio. Dee urlò e cadde per terra, le sue gambe tremavano.
“Aiuto! Aidan! Aiuto!”  urlò.
“No, tesoro, Aidan ha finito con te oramai e soprattutto, non è stato invitato…”
Dee la guardava, piangeva ma tentava di allontanare le sue mani sudice.
“Ah, devi essere proprio tu questa volta. Un’altra sarebbe già svenuta” la creatura sorrise “Non ti preoccupare, non morirai comunque…tu sei per il maestro….ti sta aspettando” disse facendo cenno verso la piccola porta.
Dee lottò con tutte le sue forze ma poi perse i sensi…il mostro la trascinò su per le scale.
Sì, sta arrivando. Questa volta sarà mia per sempre…

L’ornamento dorato
Non lontano dalla loro pensione in stile giapponese c’era un negozio di seconda mano che vendeva tipici vestiti e ornamenti appartenuti a delle geisha. Linda con il  naso incollato alla vetrina continuava a dire alla madre
“Voglio quell’ornamento dorato!”
“Ma hai già comprato un sacco di cose durante la nostra gita a Shinjuku ieri!”
“Ma lo voglio! Mi dice ‘Comprami, sarai bellissima!’” si lamentava Linda.
“Sei già bellissima senza, tesoro”
“Sì, esattamente quello che dicono i ragazzi a scuola!”
“Non dargli retta adesso!” rise la madre.
Linda era triste perché voleva assolutamente quell’ornamento. Il bastoncino dorato che terminava con un pesciolino rosso era irresistibile. Passava ore incollata alla vetrina. Lo voleva e aveva persino smesso di mangiare. Era diventata addirittura più obbediente di quanto già non fosse, per avere il suo ornamento. Nella sua testa era già sua proprietà! Sua madre non ce la faceva più e considerato che non aveva ragioni per non farlo, decise di comprarle l’ornamento.
Accade tutto a Kyoto, nel cuore storico della città, che non si può dire sia moderna come lo è Tokyo. Nonostante qui e lì si possano trovare degli accenni di modernità tutto è avvolto da un manto di antico, solenne misticismo che fa perdere il senso della realtà stessa.
“Oh è davvero un buon affare, signora!” disse il venditore. Sembrava quasi sollevato di sbarazzarsi del pezzo. “Era appartenuto, come dice il cartellino, alla grande geisha Rokujo. Era già famosa a tredici anni”.
Quella fu la fine dalla conversazione. Non sembrava voler aggiungere altro. Linda era molto felice adesso, si sentiva soddisfatta e anche più fiduciosa in sé stessa.
Da quella sera non tolse più l’ornamento dai suoi capelli rosso scuri. Passava una gran parte della giornata fissando la sua immagine allo specchio. Dopo un paio di giorni nessuno poteva più smuoverla dal suo riflesso. La madre cominciò a preoccuparsi di nuovo, la sentiva mormorare di fronte allo specchio
“Sono meravigliosa! Non c’è nessuna ragazza bella come me! Si rimangeranno le loro parole! Poveri stupidi!”
Linda cominciò anche a mandare indietro i pasti senza averli neanche assaggiati.
Con il passare dei giorni la madre era sempre più preoccupata. La sentì dire cose assurde tipo
“Pensano che sia una delle maiko fallite al servizio delle geisha! Ma si sbagliano. Sono già la migliore geisha a Kyoto! E presto sarò anche presentata a corte!”
Sembrava che un velo oscuro fosse calato su suoi occhi, sembrava fissare lontano. In un posto e un tempo che nessuno poteva raggiungere.
Sua madre era abbastanza sicura che tutto fosse causato dall’ornamento che Linda indossava. Aveva sempre sentito parlare delle tradizioni e superstizioni giapponesi e di come i giapponesi vivano spalla a spalla con il loro vecchio folklore. Aveva anche tentato di intrufolarsi nella stanza di Linda, visto che ne aveva richiesta una per sé assolutamente, per tentare di toglierle l’ornamento dai capelli. Fu in quel momento che un’ombra ancora più scura della notte stessa la sopraffece. Non sapeva che cosa fosse ma sentì un’ oppressione sul petto come se non potesse più respirare.
Ritirò la mano dai capelli della figlia e allo stesso tempo insieme alle sue pallide dita anche l’ombra si ritirò a sua volta. Poteva respirare di nuovo così chiuse la porta scorrevole di carta color sabbia.
Decise quindi di tornare al negozio e chiedere spiegazioni.
Il proprietario non era lì apparentemente e la ragazza lasciata nel negozio parlava solo giapponese. La madre di Linda non sapeva che cosa fare. Si limitò a vagare per la vecchia Kyoto, attraverso i quartieri delle geisha fino a quando non arrivò ad un piccolo cimitero. Anche nella morte i giapponesi sono tutti uguali e ordinati. Tutte le sottili pietre tombali davano l’idea di un’ampia foresta di pietra da dove delle stringhe di fumo grigio si innalzavano qua e là nell’azzurro cielo serale.
Non distante c’era una vecchia signora che lavava una lapide gettandovi gentilmente dell’acqua con un mestolo di legno fatto a forma di pipa.
La madre di Linda la seguì senza una precisa ragione. Semplicemente trovava la figura della vecchia signora, con i suoi capelli legati in un grande chignon, molto rassicurante.
Solo dopo si rese conto che era in un tempio. Tutto era in legno dipinto di oro, bianco e rosso. Al centro c’era una statua di Buddha gigante. Il posto era scuro ma non spaventoso.
All’improvviso sentì una voce parlarle in giapponese. Era un giovane prete che si rivolgeva a lei. Sapeva le parole necessarie per dirgli che non lo capiva. Lui conosceva un po’ di inglese così da poter parlare con lei. Era molto informato riguardo la storia, le tradizioni e il folklore di Kyoto. Le diede la cattiva notizia che temeva. Gli chiese se sapeva chi fosse Rokujo. Il prete rispose che Rokujo era tristemente famosa nel periodo Heian  sia per la sua bellezza che per la sua infelice storia.
Fu venduta ad una casa da tè quando aveva solo 5 anni e completò in un periodo estremamente breve il suo percorso di studi per divenire geisha diventando alla tenera età di tredici anni la geisha più conosciuta e richiesta in tutti i banchetti.
Si diceva che persino l’imperatore volesse usufruire della sua presenza. Doveva presentarsi a corte alla fine dell’anno, ma due settimane prima fu trovata morta sulla riva del fiume. Il suo ornamento preferito, con un pesce rosso all’estremità era ficcato nel suo petto.
“Oh mio Dio” urlò la madre di Linda “È lo stesso che ho comprato a mia figlia!”
“Ma non può essere lo stesso, signora!” disse il prete sorridendo.
“Non lo so, ma da quando lo ha indossato si sta comportando in modo strano e parla di continuo di fronte allo specchio. Non è più lei!” e cominciò a piangere, il viso tra le mani.
Dopo qualche minuto di silenzio il prete disse con tono grave:
“Se è come temo che sia, credo proprio dovremmo assecondare la volontà di Rokujo prima che il suo spirito possa danneggiare permanentemente sua figlia. Solo dopo sarà libera!”
“E lei pensa veramente che potrei andare dall’imperatore e dirgli che mia figlia è posseduta dallo spirito di una geisha che doveva servire i suoi antenati secoli fa?” e sorrise tristemente per la stupidaggine che aveva appena detto.
“No, ma si può ingannare! Sono sicuro che troverà un modo”
Tutto questo non era di grande aiuto per la povera madre ma decise di tornare alla pensione e tentare di risolvere tutto.
Si mise dietro alla porta di Linda e si inginocchiò sul pavimento di legno che dava sul giardino interno.
“Linda, sono tua madre, sto entrando!
“Non ti è permesso entrare, donna! Hai sbagliato stanza”
Ci fu un palpabile silenzio per un momento e poi tentò di nuovo
“Dama Rokujo sono qui per portarla a palazzo, posso aiutarla?”
“No, aspettami all’entrata e chiama un risciò”
La voce importante e fredda che udiva attraverso la porta non era più quella di sua figlia.
Era abbastanza fortunata che nella parte storica di Kyoto il tempo sembrava essersi fermato. Chiamò un risciò e diede al ragazzo le istruzioni.
Linda apparve sulla soglia. Era assolutamente magnifica. Sua madre non sapeva dove fosse riuscita a trovare quel ricco kimono. Era blu notte con una scena di tramonto dipinta in fondo, un obi arancione stringeva la vita. Il suo ornamento teneva i capelli in ordine. Era fantastica.
Per un brevissimo momento la madre si sentì orgogliosa della sua bellissima figlia. Poi realizzò che non era più Linda.
Presero il risciò e si diressero a destinazione. Presero la strada che correva lungo il letto del fiume. Linda tremò
“Va tutto bene?” chiese la madre e senza aspettare la risposta la spinse fuori dal risciò. Il ragazzo immediatamente si fermò urlando qualcosa che la donna non capiva.
Saltò sulla strada seguendo la figlia che era atterrata pesantemente sul suolo erboso sottostante.
Come risultato dell’impatto l’ornamento scivolò via dai capelli che ora circondavano la sua nuca come la coda di un pavone.
Il sole al tramonto colorava il cielo di rosa e arancio, e un po’ del colorito infantile stava di nuovo comparendo sulle guancie di Linda. Era viva e ora addormentata profondamente. Sua madre la lasciò giusto per pochi secondi.
Raggiunse l’ornamento e lo frantumò con il piede.
“Ora sei libera dalla tua vanità” era sicura di aver sentito un lamento uscire dall’ornamento rotto.


Il magico fiocco di neve
C’era una volta una donna che abitava in una piccola casa al di fuori del suo villaggio. Viveva da sola perché suo marito era morto anni prima e i suoi figli, ora adulti, avevano lasciato la casa per vivere da soli.
Fuori dalla casa c’era un piccolo orticello e lì la donna coltivava patate, carote e pochi altri vegetali giusto per lei. Non aveva mai ospiti con i quali dividere un pasto. Una volta alla settimana andava al villaggio e comprava alla bottega quello di cui aveva bisogno per andare avanti qualche giorno.
Conduceva una vita semplice e con il passare degli anni si era abituata a vivere da sola e a non parlare con nessuno. Tutti nel villaggio conoscevano la sua storia, ma nessuno andava mai a visitarla perché era apparentemente diventata una vecchiaccia  egoista e brontolona.
La verità era che stava male ed era stanca, ma nessuno voleva stare con lei, neppure i suoi stessi figli. Era molto triste per questa situazione ma non sapeva come cambiarla. Era troppo orgogliosa per dire alle persone che le dispiaceva per come si era comportata e che aveva bisogno di aiuto e compagnia.
Era una notte di inverno quella di cui parleremo. Era la notte più fredda che la donna avesse passato da anni fino a quel momento. Aveva mangiato la sua povera cena e si era preparata per andare a dormire. Diede un ultimo sguardo fuori dalla finestra, aveva cominciato a nevicare. Osservò i piccoli e regolari fiocchi di neve fluttuare leggeri nell’aria e cadere gentilmente sul davanzale.
“O piccolo fiocco di neve, vorrei che tu fossi vivo così almeno potresti parlare con me!” disse. In quel momento si sentì triste come non mai e andò a letto.
Proprio allora, nella notte silenziosa, accadde una cosa magica. Uno dei fiocchi di neve cominciò a crescere poco a poco. Due piccole manine e due piccoli piedini spuntarono dalla forma arrotondata e dopo poco una testa spuntò fuori dalla sommità, come se una piccola persona stesse indossando un maglione bianco neve. La sua testa era bianca, come il resto del corpo, ma due brillanti occhietti color argento si guardavano attorno.
Vide la finestra e realizzò perché era lì. Passò, appiattendosi, attraverso il piccolo passaggio quasi invisibile sotto la finestra e andò in cucina.
“Oh, povera vecchia signora” disse e schioccando le dita fece apparire un caldo piumone rosa che posò sulla vecchia signora e poi lasciò sul tavolo la colazione pronta per la mattina dopo.
Quando la vecchia si svegliò presto come al solito, sentì un bel calduccio e le sembrò che la sua artrite stesse molto meglio. Notò immediatamente il piumone “Oh, e questo da dove salta fuori?” si chiese.
Si alzò da letto tremando. La casa era freddissima. Si mise la vestaglia e andò in cucina per farsi un tè per riscaldarsi.
Non si accorse immediatamente che qualcosa era successo, ma dopo un paio di minuti vide il tavolo ricoperto di una ricca colazione. C’era latte, cioccolato, pane, burro, marmellata e anche una torta.
Pensò che stava ancora dormendo e si pizzicò il braccio “Ahi!” disse strofinandosi la pelle. Si guardò attorno perplessa ma poi la fame vinse, si sedette al tavolo e buttò già tutto quel cibo delizioso.
“Sono contento che ti piaccia!” disse il piccolo essere fatato seduto sul davanzale, non notato fino a quel momento. La vecchia signora girò la testa e fisso la piccola creatura senza muoversi.
“Chi sei tu?” chiese dopo pochi secondi.
“Sono una folletto della neve! Mi chiamo Nevischio!”  disse ridendo. La vecchia signora non disse una parola. Non sapeva se credere o no a quello che stava vedendo.
“Perché sei qui?” chiese.
“Perché hai detto che avevi bisogno di aiuto!”
“No!”
“ Oh e invece sì! Ieri sera, prima di andare a letto!”
“Ah, allora sei in ritardo!” tagliò corto lei e continuò a mangiare.
“Io penso di no!” rispose Nevischio “Se fosse stato troppo tardi non avrei potuto sentirti!”
“Cosa vuoi dire?”
“Voglio dire che ti ho sentito, perché c’è ancora speranza!”
“Per cosa?”
“Per te! Non sarai più sola! Ti aiuterò io!”
“Stupidaggini” la vecchia signora chiuse il dialogo e bevve il suo latte.
Nevischio non rispose nulla perché sapeva che continuare a discutere non avrebbe portato a nulla di buono.
Dopo aver terminato la colazione la signora gironzolò per la casa facendo le faccende quotidiane. Nevischio stette seduto sulla finestra tutta la mattina.
“Starai seduto lì ancora per molto?” scattò la vecchia signora.
“Fin o a quando potrò essere d’aiuto!” rispose.
“Quindi puoi andare!” disse.
“Oh,suvvia, lo sai che non è vero!” protestò Nevischio.
Parlando tra sé in un mormorio indistinguibile la donna andò in giardino per vedere se la neve aveva risparmiato qualcosa la notte precedente ma non fu in grado di trovare niente da utilizzare per il pranzo. Si voltò e ritornò in cucina. Il fornello e la dispensa erano vuoti così decise di andare al villaggio per comprare per lo meno un po’ di pane.
“Dove vai?” chiese Nevischio.
“Non sono affari tuoi!” rispose. Si mise addosso il suo scialle rattoppato e uscì. Nevischio la seguì fluttuando nell’aria.
“E ora che c’è?” chiese fredda.
“Vengo con te!”
“Fai come ti pare” disse e aumentò il passo.
Arrivò al negozio di Tom, il droghiere. Era presto quella mattina così la signora era la prima cliente.
“Buongiorno!” disse Tom. La vecchia signora non rispose e cominciò a guardarsi intorno. Tom non ci badò, c’era abituato. “Una pagnotta e 3 uova” ordinò.
“Bene. Abbiamo anche del formaggio fresco morbido che è appena arrivato dalla città, se lo vuole provare! Le farò un buon prezzo!” Tom tentò di fare conversazione come al solito.
“No” tagliò corto la signora e lasciò delle monete sul bancone. Sapeva che erano abbastanza per quello che aveva comprato. Voltò quindi la schiena e andò diritta verso l’uscita.
“Arrivederci e grazie!” disse Tom tuttavia, sicuro di non ricevere risposta.
“Arrivederci” disse la voce della signora. Tom era sorpreso e fissò la schiena della vecchina scomparire dietro il muro.
Una volta fuori dal negozio la donna chiese “Perché lo hai detto?”
“Perché no?” chiese Nevischio senza rispondere.
“Perché nessuno ha bisogno di quelle stupide piccole riposte!” scattò lei.
“Sì invece! Tutti ne hanno bisogno”
“Stupidaggini” e con questo aumentò il passo.
Come se non avesse detto nulla, Nevischio salutò ogni persona che incontrarono sulla strada del ritorno con la voce della vecchia signora. Lei era arrabbiata e quasi imbarazzata.
Un gruppo di bambini stava facendo un pupazzo di neve. Quando videro la vecchia signora corsero via spaventati. “La strega, la strega!” urlarono.
“Vedi? Vedi come mi vedono!? Perciò bada agli affari tuoi e lasciami sola!” disse la vecchia signora a Nevischio. Lui era tristissimo perché sapeva che la vecchia signora era una persona buona e che solo quello che le era successo l’aveva trasformata in una terribile strega. Per cui decise di cambiare la sua strategia “Non ho molto tempo” si disse e guardò in alto. Le nuvole erano ancora color piombo.
All’inizio aveva pensato di coccolare la signora ma ora pensava che era molto meglio essere duro come lo era lei, anzi anche di più, per farle capire in che pericolo fosse. La raggiunse per la strada e le chiese “Lo sai che il tuo cuore sta morendo?”
“E quindi? Meglio! Non mancherò a nessuno!” rispose.
“Sei sicura? E non ti importa di morire?”
“No”
“Tu stai mentendo stupida donna!” disse.
Ci fu una pausa, la signora non si aspettava una risposta del genere, così Nevischio utilizzò la sua sorpresa per insistere sulla faccenda “Per essere precisi non stai morendo, stai facendo una fine ben peggiore!” la donna, ancora silenziosa, cammino veloce verso la sua capanna. “Il tuo cuore sta diventando una pietra di ghiaccio. Si sta congelando e non proverai nessun sentimento, mai più, se continui così!”
“Non….non mi importa” disse la donna, non così secca questa volta.
“Lo vedi? Invece ti importa!” disse Nevischio “Lo posso sentire”
La donna non rispose nulla a questo e Nevischio pensò che fosse abbastanza per il momento.
La signora fece una magra cena e andò a letto. Nevischio si addormentò sul davanzale dove c’era ancora della neve per tenerlo al freddo. Quella notte nevicò ancora ma la vecchia signora non sentì freddo grazie al suo nuovo piumone.
Quando Nevischio si svegliò la mattina decise di far scomparire tutto il cibo che c’era in casa. Quando la vecchia signora si alzò da letto quella mattina per colazione trovò solo una tazza di tè e un pezzo di pane.
“Cos’è, sei offeso?” chiese al folletto.
“No, ma considerato che non ti importa della tua situazione, perso che non ti importerà nulla neanche di questo!” disse.
“Tanto per cominciare nessuno ti aveva chiesto di farlo!”
“Sì, lo so. Ma pensa solamente a quello che hai mangiato ieri e quello che hai mangiato stamani. Questo può spiegarti qual è la differenza tra l’avere dei sentimenti e non averli!” tentò di dimostrarle. La vecchia signora lo fissò e dopo un poco chiese “Come sai che il mio cuore non è già ghiacciato?”
“Perché se fosse stato ghiacciato non avrei potuto sentire il tuo desiderio!” e dopo un po’ “Quindi puoi cambiare la situazione!”
“Sono troppo vecchia” protestò la donna.
“Questa non è una scusa! Nessuno è troppo vecchio per cambiare o fare la cosa giusta!”
La vecchia signora non rispose ma la il suo viso sembrava meno imbronciato di prima.
Andò di nuovo al villaggio quel pomeriggio dal momento che Nevischio aveva fatto sparire tutto dalla dispensa. Come il giorno prima Nevischio salutò Tom per lei e tutte le persone che incontrarono per la strada. Ma questa volta la donna non si lamentò.
La stessa cosa si ripeté per un paio di giorni. Prima che la settimana fosse finita la gente del villaggio cominciò a guardare la vecchia signore in modo curioso e interessato e persino un sorriso apparve sulle sue labbra piene di righe.
Il giorno dopo Nevischio non fece scomparire le cose ma la donna decise di andare lo stesso al villaggio. Tom fu sorpreso quando lei gli chiese il pane perché aggiunse “Per favore, Tom”. Così lui sentì di poter chiedere “Come sta? Come vanno le cose?” in parte temendo la risposta.
“Non male!” rispose lei. Non era molto ma comunque un grande cambiamento.
Dopo quel giorno poco alla volta la donna cominciò a scambiare un paio di frasi con Tom e presto si sparse la voce nel villaggio che la vecchia signora che viveva fuori dal villaggio stava cambiando.
L’inverno era quasi finito e una notte Nevischio disse:
“L’inverno è quasi finito, quindi dovrò lasciarti presto”. La vecchia signora era triste poiché era oramai abituata alla sua compagnia. Si era abituata a parlare con lui tutte le sere e ora ammetteva di sentirsi meglio. Così meglio che decise di preparare dei biscotti al cioccolato e  darli ai bambini ritornando dal villaggio il giorno successivo. Da quel momento in poi non scapparono più. Inoltre alcuni di loro cominciarono a farsi vedere a casa sua di tanto in tanto e sempre ottenevano una cioccolata calda.
I giorni continuarono a passare e la vecchia signora continuò a seguire i consigli di Nevischio, fino a che una notte un poco più calda, seduto come al solito sul davanzale disse
“La primavera è alle porte! Penso che ci separeremo presto” e le sorrise debolmente. Sembrava stanco.
“No non andare via. Sono così abituata a te adesso, non lasciarmi da sola!”
“Ma non sarai più da sola! Sei una persona diversa adesso! Questa è la prova che se si vuole si può cambiare! L’importante è volerlo! Hai fatto un ottimo lavoro! E credo proprio che anche i tuoi figli si faranno vedere presto!”
“E sai quando andrai via?”
“Non esattamente, ma sento un po’ più caldo ora, quindi presumo sarà per domattina!”
La vecchia signora decise di stare sveglia quella notte e tenere compagnia a Nevischio che sembrava sempre più stanco.
Dopo una notte fresca ma sempre più calda mano a mano che si avvicinava l’alba, il sole cominciò ad apparire dietro alle colline. Dopo un paio d’ore il sole risplendette glorioso e il povero Nevischio cominciò a sciogliersi. La vecchia signora pianse, le sue lacrime scomparivano dopo essere scorse sulle sue guance. Non ci volle molto.
Dopo un poco una piccola pozzanghera di ghiaccio sciolto rimase sul davanzale. La vecchia signora pianse tutto il ghiaccio che era rimasto attorno al suo cuore, che andò via con Nevischio lasciando davanti a lei una primavera più calda e serena.
Da quel momento la signora visse per molti altri anni, circondata dagli amici e dai suoi figli che raggiunti dalla bella notizia tornarono da lei.



Marian e Grace

Marian stava tornando a casa quel pomeriggio, come sempre, dopo il lavoro, seguendo la solita scorciatoia. Sarebbero serviti sono cinque minuti. All’improvviso vide qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Due uomini vestiti di nero con la testa coperta da cappucci stavano saltando fuori dal muro di cinta del giardino di una casa. Stavano trascinando dietro di sé due enormi sacchi pieni di Dio solo sa che cosa!
Marian si spaventò e chiuse gli occhi non sapendo cosa fare ma sperando ardentemente di non essere vista.
Marian era una ragazza di 22 anni molto ordinaria. I suoi biondi capelli arruffati erano sempre legati in una coda di cavallo. I suoi occhi azzurri erano costantemente nascosti da occhiali dalla struttura molto spessa. Non ne aveva bisogno ma era un buon modo per eclissarsi. Lavorava come cassiera in un supermercato locale, così vedeva tutti i giorni le stesse persone.
Allo stesso modo ogni giorno lavorava dalle 8 alle 5, ogni giorno faceva la stessa strada per andare al lavoro e ogni giorno mangiava gli stessi pasti. La sua vita era una routine ma non avrebbe potuto essere diversa ad ogni modo, e questo a causa del suo problema. Non le piaceva parlarne ma aveva scelto la strada più facile: una vita noiosa, nessun amico, fare le stesse cose in modo da vivere la vita senza essere notata.
La cosa buffa era che la vita che aveva deciso per sé stessa non era la stessa che avrebbe desiderato vivere! Ma pensava di essere oramai troppo vecchia per cambiare il suo modo di fare. A quell’età non sei neanche a metà del cammino, tutti lo sappiamo, ma lei no, o forse rifiutava solo di vederlo.
***
Grace era uno dei migliori e più conosciuti cacciatori di taglie con i quali la polizia avesse mai lavorato. La città in cui lavorava non era grande, ma per qualche strana ragione c’era un gran numero di piccoli criminali che avevano tentato di accaparrarsi un po’ di ricchezza. Un gran numero di persone benestanti si erano trasferite lontanto dalla metropoli per vivere in pace.
Grace voleva solo assicurare i criminali alla giustizia. Era alta e magra, con dei meravigliosi lunghi capelli dorati. Camminava come un gatto.
La polizia lavorava con lei da oramai tre anni ma sapeva solo il suo nome. Nessuno sapeva esattamente chi fosse, da dove venisse e che età avesse. Assolutamente nessuna informazione! Sembrava apparsa dal nulla.
Quella notte, come al solito, stava facendo la ronda nella parte vecchia della città, piena di case ricche. Era oramai il tramonto quando vide due ladri venire fuori da una di queste.
Vide anche una donna inginocchiata a terra, ma sembrava stare bene, così pensò che si sarebbe occupata di lei dopo. Tuttavia, quando si voltò di nuovo verso di lei, era sparita.
Decise quindi di concentrarsi sui due criminali “Hei voi due! Che diavolo state facendo? E dove pensate di andare?”  e saltò sul muretto sferrando un pugno al più vicino.
L’uomo cadde a terra, mentre il suo compagno riuscì a scappare con la refurtiva.
“Hei fermo dove sei!” urlò Grace.
Il cane del vicino cominciò ad abbaiare e le luci della casa s’illuminarono. A seguito di tutta questa confusione anche i proprietari della casa derubata si svegliarono e un uomo uscì dalla porta di ingresso
“Che diavolo succede qui?”
“Chiama la polizia io recupero l’altro! Dì loro che Grace è stata qui” e saltò giù dal muro correndo dietro al secondo uomo. Lui era veloce ma Grace riuscì a recuperarlo e ad afferrare il sacco, tirandolo verso il suolo. Il ladro perse l’equilibrio e cadde a terra. Fu allora che Grace lo colpì sul viso e dopo una breve lotta lo legò con la fune che portava legata alla vita.
Lo trascinò di nuovo alla casa e restituì al proprietario ciò che era stato rubato. Scappò via prima che la polizia arrivasse.
Felice di aver salvato di nuovo la giustizia ritornò a casa e si addormentò immediatamente.
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Marian si svegliò la mattina seguente nel suo letto.
“Oh no, è successo di nuovo! Qualcuno mi ha portato a casa!” controllò come sempre attorno al collo per vedere se tutto era al suo posto. Il piccolo cartoncino con il suo indirizzo scritto sopra e la chiave di riserva erano lì.
Marian soffriva di narcolessia da quando era bambina, questo era il motivo per cui aveva deciso di stare lontana dalla vita sociale. Nonostante le poche persone che conosceva non fossero d’accordo continuava a tenersi lontana dagli altri.
“Mi piacerebbe” diceva “Ma non voglio essere giudicata un fenomeno da baraccone! No, grazie!”
“E cosa succederebbe se un criminale o una cattiva persona ti trovasse addormentata al suolo? Potrebbero prenderti la chiave e derubare il tuo appartamento!”
“Ah cosa, la mia collezione di film di Bruce Lee? Sì, sarebbe un grande affare!” era solita rispondere.
Nessuno le aveva fatto cambiare idea e dopo un po’ ci avevano rinunciato. D’altra parte era molto attiva come persona. Era interessata in tutto quello che avrebbe voluto fare, come le arti marziali, la fisica o la scienza in generale. Sulla carta era un genio con una grande conoscenza nell’autodifesa!
Nessuno meglio di lei sapeva quale fossa l’enorme differenza tra ciò che vuoi fare e quello puoi fare, ma sappiamo tutti che a volte siamo troppo intransigenti con noi stessi.
Quella mattina, come sempre, Marian aveva fatto colazione ed era andata al lavoro. C’erano due macchine della polizia parcheggiate di fronte alla casa dove aveva visto i due criminali uscire la sera prima “E così sono stati presi! Ottimo! Forse è stato uno degli agenti a riportarmi a casa! Meglio per me!” non possiamo dire che non vedesse il lato positivo di ogni cosa ad ogni modo.
Arrivata al lavoro, come ogni mattina aveva del tempo rimasto per bere un caffè con Beth, la sua manager, prima che il supermercato aprisse.
“Hai visto? Quella Grace ha catturato di nuovo due criminali la scorsa notte! È davvero coraggiosa! Dicono che sia bellissima oltre tutto! E hanno ragione!” disse Beth.
“Come fai a dire che hanno ragione?! Nessuno l’ha mai vista! Ci fidiamo solo di quello che dice Jack! So che è un ragazzo simpatico ma viene qui solo per la colazione ogni mattina, non sappiamo che tipo di persona sia!”
“Ah è apposto!” sorrise Beth. E di fronte alla meraviglia di Marian cambiò il soggetto della discussione “Beh, puoi controllare tu stessa! Guarda, qualcuno è riuscito a fotografarla la scorsa notte! Speriamo solo che non trovi questo ragazzo, lo potrebbe uccidere! Immagino ci fosse una ragione se non voleva essere vista da nessuno!”
Marian seguì la parole di Beth ma allo stesso tempo era ipnotizzata dall’immagine. Grace era di sicuro una bellissima donna e sembrava anche avere molta fiducia in se stessa. Le sarebbe piaciuto essere così. Assolutamente.
“E sai una cosa?” disse Beth allontanando il giornale dal viso di Marian e studiando nuovamente la foto “Questa donna potrebbe essere molto simile a qualcuno di mia conoscenza se solo decidesse di aprirsi al mondo e prendersi cura di se stessa un po’ di più!” e la fissò con un sorriso malizioso.
“Chi!? La conosco? È una dei clienti?” chiese Marian.
Beth si limitò a colpirla gentilmente sulla testa con il giornale arrotolato e se ne andò scuotendo la testa.
Quel giorno servendo i clienti Marian era assente. Pensava che sarebbe stato bello essere come Grace, ma era come desiderare l’impossibile.
Stava servendo il signor Fisher quando notò due ragazzi muoversi in modo strano all’interno del supermercato. Li seguì con lo sguardo e le sembrò che si mettessero delle cose in tasca. Distolse lo sguardo e finse di non aver visto nulla. Ma poi posò lo sguardo sul giornale della mattina e si ricordò le parole di Beth. Voleva provare a comportarsi in modo diverso per una volta. Finì di servire il signor Fisher e poi fece finta di andare nell’ufficio sul retro. Non era molto coraggiosa ma per lo meno voleva chiamare la polizia. Quello sarebbe staro un miglioramento per lei. Andò verso il retro passando nell’ultima corsia di scaffali e raggiunse la porta.
Fu allora che udì “Mani in alto tutti voi! E tu, dammi tutto quello che hai nella cassa!” urlò uno dei due ragazzi a Beth. Marian guardò nello specchio panoramico sopra di lei che cosa stava succedendo e vide che uno dei criminali brandiva un coltello. Poi vide tutto nero “No, non ora!” sussurrò a sé stessa, e non vide più nulla.
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Grace si era alzata presto quella mattina per il suo allenamento e dopo aver fatto jogging si era fermata al piccolo supermercato nel suo quartiere. Stava bevendo il caffè vicino alla macchinetta quando due ragazzi incappucciati si fermarono di fronte alla cassa e urlarono “Mani in alto tutti voi! E tu, dammi tutto quello che hai nella cassa!”
Appoggiò il caffè e si mosse sul retro del supermercato fino a raggiungere la fine della corsia dove stavano i due malviventi. Agile come un gatto salì verso l’inizio della corsia per prenderli.
Quando fu abbastanza vicina saltò alla schiena di quello più meno distante, ma il secondo era pronto e la attaccò con il coltello. Grace fu ferita all’avambraccio destro ma dopo una lunga lotta i due ladri erano a terra storditi.
“Chiama la polizia!” ordinò a Beth “E non stare lì a fissarmi. Sono privi di sensi, non morti!” incalzò. Realizzò solo in quel momento che tutti la stavano fissando meravigliati. Decise di ignorarli. Pensò che la foto sul giornale che aveva visto entrando nel supermercato l’aveva condannata ad essere più conosciuta di quanto sperasse.
“C’è un bagno da qualche parte?” chiese a Beth tenendosi il braccio. Beth si limitò a indicare l’ufficio sul retro senza dire nulla.
“Chiama la polizia! Immediatamente!” ripeté e andò verso il bagno.
***
Marian si svegliò sul divano nell’ufficio sul retro. Guardò l’orologio, erano già le 6 del pomeriggio.
“Grande! Che miserabile mostra ho dato di me stessa!” si disse
“Perché? Se posso chiedere!” chiese Beth.
Marian non l’aveva notata fino a quel momento
“Perché mi sono addormentata come una stupida quando avevi più bisogno di me” si fermò quasi timorosa di chiedere “E quei ragazzi hanno rubato molto?”
Beth la fissò e disse automaticamente “Non hanno preso un centesimo! Tutto grazie a Grace!”
“Era qui?” chiese sorpresa e un po’ delusa di essersela persa.
“Sì ed è stata magnifica! L’hanno ferita all’avambraccio destro ma sono sicura che sta bene!”
“Come fai a dirlo? Perché non le hai chiesto come stava e se aveva bisogno di aiuto?” Beth non le rispose, era davvero come pensava che fosse? Prese il braccio di Marian e le chiese “Stai bene? Hai bisogno di aiuto?”
Marian continuò a fissare Beth negli occhi non capendo che cosa volesse dire “Ovviamente va tutto bene! Ho solo avuto uno dei miei momenti di blackout!” e tirò via il braccio dalle mani di Beth. Fu allora che sentì una fitta.
“Ma che diavolo….mi sono ferita cadendo?”
“Sei più stupida di quello che pensavo? Guardati nello specchio!” chiese Beth ignorando la domanda. Sfilò lentamente l’elastico dai capelli di Marian e le tolse gli occhiali. Marian la lasciò fare, stava capendo poco alla volta. Era esaltata e spaventata allo stesso tempo, il suo cuore batteva forte.
Era lei. Era sempre stata lei. Ora lo sapeva.



Ghost trick
“Siamo così simili, Lillian, come due gocce d’acqua! Io l’ho sempre saputo, ma tu lo scoprirai e ricorderai le mie parole quando compirai vent’anni!”
Questo era ciò che la nonna era solita dire a Lillian quando era molto piccola. Lei non capiva di che cosa la nonna stesse parlando, ed era solita rispondere “Nonna è impossibile! Siamo troppo diverse. Tu hai un sacco di rughe e io non ne ho!”
“Vedrai tesoro” era solita rispondere lei.
Quando aveva dieci anni la nonna morì e Lillian sentì come se una parte di lei fosse andata via per sempre. Tutti dicevano che si sentiva in questo modo perché era una bambina molto sensibile.
Non sapeva perché quel giorno stesse pensando a quell’episodio della sua vita. Stava andando al lavoro e il tempo era terribile. C’era un vento fortissimo e il cielo era di un nero carico. Erano le 7 di mattina ma tutto era dannatamente scuro. Le strade erano vuote e l’unico lampione rifletteva la sua densa ombra arancione sul suolo.
Lillian pensò che avrebbe fatto davvero meglio a stare a casa, nel suo letto bello caldo, ma doveva aprire quel bar. Lavorava lì da così tanto tempo che semplicemente non poteva stare a casa. Si aggiustò la sciarpa, raddrizzò il bavero del cappotto e si gettò nella fredda oscurità.
Adorava aprire il bar in estate, dal momento che la luce del sole la svegliava all’alba e poi era bello fare una passeggiata nel sole tiepido, ma durante l’inverno era un tormento. “Beh siamo già a gennaio, è quasi finta!” si ripeteva ogni volta che le toccava aprire.
Quella mattina il tempo stava dando il peggio di sé ma sperava che si sarebbe sistemato più tardi, perché doveva incontrare i suoi amici in centro per celebrare il suo ventesimo compleanno. Era forse questo il motivo per cui aveva pensato a quell’episodio della sua infanzia.
Il bar dove lavorava era alla sommità di un edificio di otto piani ed era fatto interamente di vetro cosicché era possibile vedere tutto quello che c’era attorno al palazzo stesso. Lillian amava questa caratteristica perché ogni giorno era possibile ammirare un panorama diverso e immaginare che cosa le piccole persone in mezzo alla strada pensavano della pioggia o del sole.
L’ascensore arrivò all’ottavo piano e quando le porte si aprirono fu colpita in faccia da un vento freddo pungente “Oddio!” esclamò tremando.
Il bar era ancora buio e tutto intorno era scuro. Si sentì strana e per un motivo a lei sconosciuto anche spaventata, così corse dietro al bancone per accendere le luci “Oh così va meglio!” disse e guardò fuori. Tutto era ancora immerso nell’oscurità. C’erano giusto delle ombre che si muovevano in lontananza. Probabilmente erano dei lavoratori mezzi addormentati che si recavano nei loro uffici.
Improvvisamente sentì un colpo provenire dal piano di sotto, dove era la cella frigorifera. Saltò sul posto in preda al panico. Non era decisamente una donna coraggiosa. Ma poi il vento soffiò più forte e la porta d’emergenza tremò. Il vento ululò sempre più insistentemente per pochi secondi. Lillian si sentì sollevata. Pensò che qualcuno non avesse chiuso bene la porta la sera precedente.
Cercò di riscaldarsi le braccia massaggiandole e decise di andare di sotto a dare un’occhiata. Scoprì in effetti che la porta era aperta e stava per sbattere di nuovo. “Mi hai spaventato stupida porta!”. A volte parlava con gli oggetti, che di tanto in tanto sembravano rispondergli. La porta cigolò. Le sembrò lamentarsi delusa.
Lillian stava per entrare e controllare che tutte le finestre nel magazzino fossero chiuse quando sentì dei passi al piano di sopra. “Oh no, quante volte ho detto a Jim di non far entrare nessuno prima delle 8.30. Quell’uomo! Lo ucciderò prima o poi!” e corse al piano di sopra per vedere chi fosse entrato.
Quando fu in cima alla scala, tuttavia, non vide nessuno “Oh, magari mi sono sbagliata! Il tempo è così brutto che ho pensato di aver sentito qualcosa” pensò che fosse un giorno alquanto strano.
Cominciò come se nulla fosse successo ad aprire il bar, accese la musica e alzò il volume tanto da non sentire il vento fuori dalla finestra. Cantando pulì la macchina del caffè e tagliò i limoni e le arance per i cocktail.
“Lillian!” la chiamò una voce all’improvviso.
“Si!?” si voltò immediatamente, quasi tagliandosi un dito. Anche questa volta non scorse nessuno. Cominciò a sentirsi preoccupata e spaventata. “Forse sono solo stanca!” cercò di convincersi, ma continuò a pensare che quella giornata non fosse normale. Per qualche ragione si sentì triste e provò un fitta di nostalgia.
Il cielo fuori si stava rischiarando, ma un pesante strato di nebbia cadeva lentamente, rendendo la città più spaventosa che mai. Sembrava persino più freddo.
C’era del fumo che usciva da un camino non lontano da lì. Fissando la stringa grigia Lillian pensò di vederla piegarsi a formare un cuore.
Guardò quella soffice forma e per qualche ragione cominciò a piangere. Nello stesso momento incominciò a piovere, come se il cielo volesse rispecchiare i suo sentimenti “È davvero una strana giornata oggi” si disse.
“No, non è strana, siamo solo io e te mia cara!” disse una tenera e dolce voce proveniente da lontano.
Lillian questa volta non era spaventata. Sentì una pressione calda e leggera sulla sua spalla e quando si voltò vide l’immagine trasparente della nonna fluttuare lì vicino a lei. “Buon ventesimo compleanno tesoro mio!” e poi si dissolse nel nulla. La nonna aveva sempre avuto uno strano senso dell’umorismo, si ricordò in quel momento.
Lillian sorrise in modo malinconico, si rannicchiò al suolo e mise il viso tra le mani.
Ora fuori cadeva una pioggia pesante.